Il Manifesto – Gianfranco Capitta
by on December 21, 2015 in ITALIANESI PRESS

 

Italianesi – L’Italia sognata di qua del mare
Esiste una modernità sperimentale anche nell’andare a osservare nelle pieghe della provincia comportamenti, tipologie e fatti che hanno un senso fortissimo, e sono legati in maniera fulminante alla grande Storia del paese, della sua cultura, e anche dell’Europa, in questa ricerca si è mosso da maestro da alcuni anni Saverio La Ruina, dedicato ormai a una via solitaria di autore e interprete, pur mantenendo radici forti nella sua Calabria, dove ha fatto, con Dario De Luca e la loro Scena Verticale, un osservatorio imprescindibile della rassegna Primavera dei teatri. Alla sua terza provo di monologo (dopo il successo di Dissonorata e più recentemente di La Borto, esplorazioni al femminile nei pregiudizi di tutti i sud d’Italia) La Ruina ci spiazza quasi, ripercorrendo la vicenda di alcuni Italianesi (oggi ancora all’India poi in tournée), ovvero coloro che prigionieri di guerra dall’epoca fascista, o loro discendenti, sono considerati «albanesi» in Italia e «italiani» dall’altra parte dell’Adriatico. Un destino atroce e destinato all’infelicità. L’attore usa una lingua bellissima, un calabrese musicale che ogni tanto scopre degli spigoli, e fa iniziare il racconto della bolsa e sanguinosa manìa di grandezza del duce che voleva farsi un impero per lui e per l’imbelle Savoia. E l’ingenuità affettuosa delle creature narrate, non fa che render ancor più deliranti quei sogni. Che poi si tramutano in «campi», di prigionia e concentramento per migliaia di italiani, finché l’intera Albania sarà un enorme territorio chiuso e blindato con tutti gli albanesi dentro, per i deliri di Hoxa. Tra genealogie ardimentose da seguire, particolari che suonano come pugni nello stomaco, e quella loro incrollabile ingenuità, i personaggi raccontati da La Ruina sembrano resistere ad goni smottamento. La vera voragine si apre nel loro cuore nel momento in cui cercheranno di riannodare i fili e le ascendenze della propria vita, fino allo sperduto paesino sardo dove abita il padre che fu soldato di spedizione in Albania. Ma poiché la vita non è una trasmissione di Maria De Filippi (per fortuna) quel figlio d’amore e di guerra sarà rifiutato, come un estraneo, e se ne tornerà a fare il sarto in Calabria dove altre parentele l’avranno portato. Una storia molto bella e robusta, scritta molto bene. E Saverio La Ruina è un raccontatore fantastico, discreto ma ineludibile con i suoi affondi. Resta ancor di più il dubbio su quale teatro sarebbe capace di darci, fuori dei suoi meravigliosi racconti.

Gianfranco Capitta -il Manifesto –  04.12.2011

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