Myword.it – Maria Grazia Gregori
by on December 21, 2015 in ITALIANESI

 

Un testo sorprendente che racconta una storia sconosciuta e l’interpretazione magistrale di Saverio La Ruina rendono questa narrazione imperdibile.

Vedere Saverio La Ruina in scena non solo è un’emozione, non solo ci commuove, ma fa nascere nello spettatore la sensazione di trovarsi di fronte a un modo di fare teatro del tutto necessario. Sarà per l’estrema naturalezza della sua presenza scenica – sembra niente ma nasce invece da una bravura addirittura mostruosa – sarà per la misura con la quale costruisce la sua storia, sarà per la semplicità con la quale la racconta: non ci si può fare niente – noi e lui –, è così. E pensare che le sue storie non sono mai scritte e recitate per stupire e affascinare, il suo modo di fare teatro è quasi elementare: lui, una sedia, la luce, un accompagnamento musicale in grado di dilatare la parola arricchendola di assonanze, non un ornamento ma un alter ego fondamentale per la sua narrazione. Insomma: quattro tavole e una passione come diceva Lope de Vega. I personaggi di La Ruina nascono da uno studio comportamentale, da una valenza antropologica, dall’osservazione della realtà, dal bisogno di dare vita a qualcosa che lo ha colpito, che non resta però chiuso nell’esclusivo cerchio della sua sensibilità, ma che si trasforma, grazie al suo modo di essere attore, alla sua capacità affabulatoria in qualcosa che ci riguarda. È successo con Dissonorata, con La Borto, e oggi tutto questo si ripete con Italianesi: se nei primi due si indagava sulla condizione femminile in Meridione, in quest’ultimo testo Saverio gira pagina, cambia decisamente direzione. Da un io indifeso, dalla dignità calpestata dei primi due lavori che l’hanno fatto conoscere al di là dei confini della Calabria, giunge qui a uno sguardo più consapevole, più profondo verso un dramma praticamente sconosciuto, che attraverso la riflessione, la sorpresa, la rabbia per le ingiustizie patite dai personaggi di cui racconta trasforma la storia di un singolo nella storia di molti. […] Saverio La Ruina ci rivela una realtà terribile, una condizione di infelicità e un carico di dolore insopportabili in un italiano dolce con l’accento del Sud e non in dialetto calabrese come negli spettacoli precedenti perché questa è una storia che supera i confini, per diventare vita di una parte non piccola di gente che si è trovata a pagare colpe non sue. Lo fa con estremo pudore: un uomo solo in scena, la voce chiara, il gesto misurato, un’interpretazione formidabile. Da non perdere.

Maria Grazia Gregori – Myword.it – 02.02.2012

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