Rassegna Stampa “I 4 DESIDERI DI SANTU MARTINU”

I 4 DESIDERI DI SANTU MARTINU

 

persiinsala.it – Lorena Martufi  – Dicembre 28, 2022

I 4 DESIDERI DI SANTU MARTINU – UN GUSTOSO FAVOLAZZO TUTTO DA RIDERE

Natale, tempo di desideri, santi e di racconti. Si chiama “favolazzo – adatto ad essere recitato dopo i pasti” I 4 desideri di Santu Martinu, la pièce in versi di Dario De Luca, andata in scena in anteprima nazionale nel piccolo, ma già prestigioso, Teatro della Chimera di Castrovillari, dove Scena Verticale è di casa.

Un racconto in versi gustosissimo, preso a prestito dalla letteratura medievale dei fabliaux del XII secolo,  riscritta in dialetto calabrese, erede delle storie satiriche della tradizione novellistica di Boccaccio e di una certa letteratura fiabesca occidentale dove l’ingenuo si sposava con il sacro e con l’osceno e il genere popolare, contadino, bucolico incontrava il grande gusto della borghesia, raffinata, colta, grazie al vezzo della poesia in musica.

De Luca, moderno trovatore che dal passato precorre il futuro della romanza, sulla strada già tracciata da Re Pipuzzu, ci racconta ora un’altra storia dall’impianto semplice, diretto, divertente e sagace, non priva di condita saggezza. Una coppia di contadini che vivono un matrimonio lieto e fedele, onorandosi con reciproci doveri nella normalità scandita dal lavoro della vita dei campi. Entrambi sono tipicizzati nei loro rispettivi difetti e caratterizzati in modo rocambolesco da De Luca che ce ne consegna i ritratti, scoperchiandone i desideri più latenti, attraverso una parola vivifica che scruta ogni aspetto di pensiero e di intenzione, unita alle melodie rapsodiche di Gianfranco De Franco, che ci lascia immaginare anche i sapori e gli odori del racconto, accompagnandoci in un viaggio sensoriale che rapisce i sensi e l’intelletto.

Partendo da un intreccio semplice, lo spettacolo suscita curiosità crescente nello spettatore mai sazio di piacere, come i personaggi animati da appetiti che vanno dal cibo, al vino, all’unione sessuale, mai realizzata e consumata, ma sempre cercata, in un crescendo di allegorie, visioni e immagini, evocate dal ricco vocabolario e lessico che fanno di questo lavoro un raffinato pamphlet erotico. Dal sogno del venditore ambulante di falli che ne ha di ogni tipo e misura, con il sacco sodo e il “manico” lungo fino ai desideri di San Martino che si realizzano come una maledizione nelle metamorfosi dei personaggi in creature di falli e vagine, che diventano sempre più umani e grotteschi, quindi sempre più reali e più veri, capiamo la differenza tra il peccato e l’innocenza.

Di grande effetto è l’aureola di san Martino, un candeliere circolare prima poggiato sul lungo bastone che ha in mano il narratore De Luca, poi a terra, quando dopo l’apparizione a una a una sistema le candele a ricordare dal basso, l’umiltà della devozione. Così come gli oggetti di scena, anche i costumi di Mariella Carbone costituiscono una parte essenziale della narrazione, che appare nitida e dipinta. Il pastiche è fatto.

Come il mito e la storia insegnano, da re Mida ad Apuleio, ma anche Rabelais, Grimm e La Fontaine, i desideri quando non fanno più paura si sprigionano e aprono a nuove fantasie che portano alla verità, nuda e cruda, di tornare se stessi.

Originale, singolare e di grande impatto immaginifico questo quadro vivo di De Luca e De Franco che rimanda ai mondi onirici dei quadri fiamminghi di Bosch,  oggetto di fantasia totale. Appaiono i temi del fantastico, il quotidiano si trasforma in visionario, come avevano fatto gli intellettuali e gli artisti del Trecento e del Quattrocento. La metamorfosi della donna è un tripudio di organi femminili che richiama i Monologhi della vagina di Eve Ensler, che nel teatro d’avanguardia aveva spianato la via a questo tema facendone una bandiera politica e culturale ancora viva. Il linguaggio regge la pièce sulla potenza espressiva e linguistica di De Luca che stratifica ogni senso che sia esplicito o non lo sia, fino alla fine: quando il candeliere diventa copricapo di candele accese, da far spegnere al pubblico, nella consapevolezza della pericolosità dei desideri. Quando la preghiera al ritorno della normalità ci ricorda che non è la protezione dei santi che ci salverà, ma il nostro rapporto diretto con la coscienza.  

https://teatro.persinsala.it/i-4-desideri-di-santu-martinu/66107/

 

 

manifestblog.it – Domenico Benedetto D’Agostino – 22/10/2023

“I quattro desideri di Santu Martinu”, in scena Dario De Luca

[Già pubblicato su Gazzetta del Sud del 22/10/23, pagina di Lamezia Terme]

Per la stagione 2023/2024 de I Vacantusi, sulle tavole del Teatro Grandinetti, è andato in scena lo scorso venerdì lo spettacolo “I quattro desideri di Santu Martinu”, una produzione della compagnia Scena Verticale, liberamente tratto da fabliaux anonimi medievali, di e con Dario De Luca e il musicista Gianfranco De Franco.

Una superba prova, quella dell’attore e regista cosentino che, con l’intrigante accompagnamento musicale dal vivo di De Franco (una garanzia di eleganza e di architettura sonora), ha intrattenuto il folto pubblico in sala con la riscrittura “in salsa calabrese” di un anonimo fabliau medievale, di ambiente piccardo, e a tratti grottesco, cioè uno di quei modelli, un prototipo quasi, per tutta la letteratura erotica e oscena che forse persino oggi può ancora scardinare diversi tabù. L’originale è stato peraltro di recente pubblicato nell’antologia curata dal celebre medievista Alessandro Barbero, “La voglia dei cazzi e altri fabliaux medievali”.

Attraverso sapienti manovre drammaturgiche di trasformismo, De Luca diventa così il novello trovatore calabrese che incornicia l’ilare storia del pecoraio e della pacchiana, sua moglie, personaggi forse archetipici per le tradizioni nostrane ma qui imbevuti di un picaresco che è il risultato della coraggiosa ibridazione di tradizioni diverse. I due, alle prese con un San Martino disposto a esaudire ben quattro desideri, si immergono in una poco sagace, quanto surreale, situazione metamorfica piena di sconcezze memorabili. Ma è chiaramente il gioco del teatro a farla da padrona: nel patto silente tra corpo recitante e pubblico in ascolto, quest’ultimo si riscopre “corpo recitato” se è vero che il riso non è mai passivo, seguendo De Luca, ma partecipante, perché anche liberatorio, perché privo dei tabù spesso autoimposti pudicamente.

Com’è vero, per esempio, che la storia messa in scena scardina con intelligente irriverenza il tabù della sessualità femminile, visto che è la Pacchiana a tenere le redini dell’erotico intreccio. Poi, c’è il potente mezzo della lingua, del dialetto in questo caso, che ha dalla sua un’evocativa potenza lessicografica, come nel momento in cui vengono sciorinati con gusto i geosinonimi degli organi sessuali, maschile e femminile.

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