Hystrio – 1/ 2022 – Tommaso Chimenti
La definizione “fiaba per adulti” sembra una contraddizione in termini. In vece è la perfetta sintesi per descrivere Re Pipuzzu, favola calabrese ripresa anche da Calvino nella sua antologia che ci porta dentro storie medievali di dame e cavalieri. Un narratore, Dario De Luca in grande for ma, in gonna da far venire invidia a Damiano dei Måneskin, e un musicista, Gianfranco De Franco, che spazia tra campana tibetana, flauto traverso, theremin e tastiere per creare un suono che non è semplice tappeto ma, a tutti gli effetti, un dialogo con le parole secolari del racconto. O meglio del cunto alla maniera di Mimmo Cuticchio o Davide Enia quando De Luca, sulla sua sediola, si inerpica in gesti e movimenti di mani e braccia, a staccare le sillabe, a cercare un tempo, un ritmo, una scansione sintattica. In un Paese lontano la figlia del Re, Reginotta, deve prendere marito ma nessuno le va bene. Allora decide di farselo da sola, con le proprie mani: acqua, farina, zucchero, lievito e impastando esce fuori questo omino di burro, pupazzo di pastafrolla. Nel miscelare gli ingredienti aggiunge tutte le qualità necessarie per il proprio modello di uomo: intelligenza, bontà, passione, fedeltà, simpatia, gelosia, solo che la boccetta del coraggio le cade a terra rompendosi. È anche una narrazione on the road, una sorta di romanzo di formazione perché Reginotta, una volta che il marito è rapito dalla Draghessa (come una Circe per Ulisse), va a cercarlo e, tra mille difficoltà e prove da superare, riesce a liberarlo dalle catene e dal giogo, psicologico e fisico, del mostro. È Reginotta la forte tra i due. Ma il dubbio finale, se riaccogliere Pipuzzu a palazzo dopo il tradimento (non aveva opposto resistenza essendo mancante di coraggio), deve essere sciolto dal pubblico in sala che voterà una delle tre soluzioni proposte, interagendo e scegliendo di fatto il finale che fa partecipare rumoreggiando e divertendosi la platea. Una narrazione vibrante, piena di sprint, gagliarda e fresca. Ci ha ricordato, come atmosfere, La bella Rosaspina addormentata di Emma Dante.
Scenecontemporanee.it – Giovanna Villella – 28 febbraio 2022
«Un ritorno all’infanzia, quasi una regressione felice, l’immersione in una atmosfera magica evocata già nell’incipit con quell’attacco che sa di calore e di affetti domestici, «C’era ‘na vota… ‘Na vota c’era». Un omaggio alle novellatrici di un tempo, custodi preziose della tradizione orale, maestre di vita e di fantasia. È Re Pipuzzu fattu a manu. Melologo calabrese per tre finali di e con Dario De Luca, attore, autore, regista della compagnia Scena Verticale e co-direttore artistico del festival Primavera dei Teatri e il M° Gianfranco De Franco. Lo spettacolo, andato in scena per la nuova stagione teatrale Vacantiandu con la direzione artistica di Diego Ruiz e Nico Morelli al Teatro Grandinetti di Lamezia Terme, è liberamente tratto dalla raccolta di fiabe e novelle calabresi Re Pepe e il vento magico di Letterio Di Francia (Donzelli Editore). A dispetto del titolo, la protagonista è una donna, Reginotta, figlia di re e orfana di madre. Con il solo potere di parole antiche, suggestioni e incantesimi rivivono attraverso la voce e i gesti di Dario De Luca, in gonna lunga a balze e piedi nudi. La sua lingua, cullante come una cantilena, abbraccia i tanti dialetti che gravitano nella provincia di Cosenza e risulta felicemente contaminata da preziosi inserti sonori, filastrocche in rima baciata o alternata, modi di dire attinti dal linguaggio popolare, nomi altisonanti seguiti da commenti che ne amplificano, ironicamente, la pregnanza. De Luca è una straordinaria Reginotta. Si porta dentro una forza che riesce a comunicare con semplicità. Questo personaggio femminile diventa una creatura modernissima che rivendica il diritto di scegliere chi amare. Libera, volitiva e impavida, lontana dai cliché delle principesse bionde, pallide e in eterna attesa del principe azzurro. Reginotta proietta il pubblico in un passato spiazzante, matriarcale e femminista dove sono le donne a tessere i destini della vita e, come colta da delirio di onnipotenza, reclama per sé il potere della creazione e il marito se lo impasta da sola. La ricetta? Un cantaro di farina, un cantaro di zucchero, tre barili di acqua della Sila, una tazza di lievito e un peperoncino rosso juschente al posto della bocca perché «quandu mi vasa m’a da vrusciare e quando mi parra m’a d’appicciare». E ancora, un pizzico di sale, tanta intelligenza, mezza tazza di bontà, una tazza di fedeltà, simpatia quanto basta, mezza tazza di gelosia, una tazza di passione, tanto coraggio, sperando che di quest’ultimo non ne abbia troppo bisogno. Tempo di preparazione: 6 mesi. Difficoltà: alta. Seguendo i movimenti lenti e decisi del setaccio, le mani di Dario De Luca disegnano amorevoli carezze nel vuoto, la figura di Re Pipuzzo si materializza nello spazio mentale dello spettatore attraverso lo sguardo stellato di Reginotta «Mo a sustanza c’è». Un fragrante reuccio di pastafrolla, coacervo di simboli culturali e valenze antropologiche. La farina, in tutte le sue varietà, è l’alimento base della dieta mediterranea; lo zucchero, bianco e dolce, il desiderio proibito dei poveri; il peperoncino rosso, piccante e afrodisiaco ha segnato l’alimentazione e l’identità di un intero popolo, simbolo di erotismo, viene collocato al posto della bocca che è legata alla parola, al nutrimento e, soprattutto, al bacio, primo contatto erotico-sensuale con la persona amata. Così la fiaba assume un valore fortemente desiderante e identitario. Ma la felicità è un respiro breve e dopo il rapimento di Re Pipuzzo da parte di un malu ventu che lo porta via come un uccello, una foglia, un pensiero, la fiaba acquista il sapore dell’avventura ma, anche, di un viaggio di formazione. Reginotta parte alla ricerca disperata del suo amato e incontra gli altri personaggi della fiaba, tre vecchi eremiti che le fanno dono di una castagna, una noce e una nocciola i cui poteri magici sono anticipati da nebbie azzurrine e vapori sulfurei: la Draghessa e la sua cameriera, e la guardia del carcere. E proprio della Draghessa, il cui nome prelude ad una figura femminile di “mangiatrice di uomini”, De Luca traccia, in filigrana, un mirabile ritratto di dark lady, femmina a tutto tondo, di verace sensualità e audace erotismo, spietata e perdente che da carnefice diventa vittima, soprattutto di sé stessa. L’incantevole paesaggio sonoro creato da Gianfranco De Franco con strumenti della tradizione (flauto traverso e clarinetto in do) in dialogo costante con una strumentazione elettronica moderna (theremin, sintetizzatori e pedali per effettistica), non è solo di accompagnamento – come pure accade nella gioiosa esplosione della tarantella finale – ma sottotesto dell’azione scenica, si fa personaggio indispensabile per mantenere la vivacità dello spettacolo ricreando i suoni della natura, comunicando elementi narrativi non rappresentati e funzionali all’intreccio, commentando gli stati d’animo e i sentimenti dei protagonisti insieme alle luci che, sapientemente distribuite, variano in colore e intensità. La trasposizione in melologo di questa antica fiaba calabrese è straordinariamente inquieta e ricca di innumerevoli possibilità di attraversamento, così come i tre finali proposti da De Luca alla fine di ogni rappresentazione e che il pubblico femminile è chiamato a scegliere. Il risultato è un mirabile esempio di teatro di parola dove scrittura, rappresentazione scenica, presenza attoriale, testo e musica si fondono in un corpo unico di grande seduzione».
Il Quotidiano del Sud – Alessandro Chiappetta – 23 dicembre 2019
«Dario De Luca riscopre una storia tutta calabrese e lo fa alla maniera dei racconti dei nonni di una volta, quelli che incantavano i nipotini davanti al focolare con storie e leggende. In scena sta seduto e legge la favola in dialetto (il lavoro di Di Francia era stato pubblicato in italiano) da un leggio posto accanto al mixer delle luci e alla macchina del fumo, dosa gli effetti personalmente. È scalzo e indossa una gonna ampia, che lo rende un po’ nonna, un po’ Reginotta quando corre incontro al suo destino. Il resto del lavoro, molto suggestivo, lo fa Gianfranco De Franco, musicista di spessore che suona strumenti e oggetti, creando suoni e atmosfere a metà tra magia, mito e illusione. Quello che è interessante, però, al di là del valore artistico, è il lavoro di ricerca all’interno della tradizione calabrese e il suo rilancio. Rilancio doppio, visto che la tecnica del melologo è evidentemente collegata a quella dei cantastorie di una volta, figure anch’esse, assolutamente patrimonio della cultura della nostra regione. Uno spettacolo che fa venire voglia di riscoprire le favole calabresi e che ci lascia il sospetto che ancora oggi avrebbe davvero tanto da dirci».
Permarecontromano.it – Francesco Gallo – 5 novembre 2019
«Si chiamava Concetta Basile, la donna che consegnò a Letterio Di Francia, palmese della fine del XIX secolo, la storia di Re Pepe. Basile è un cognome importante nella tradizione novellistica italiana e quella che appare solo coincidenza, peraltro unica nell’intero corpus del Di Francia, in verità inventa un legame importante con storie che per molto tempo sono state considerate di minor pregio. Bisognerà aspettare Calvino, nel 1956, per restituire dignità letteraria a molti cunti dialettali della tradizione popolare degli ultimi cento anni. La verità è che l’arte di impastare fiabe è arte antichissima e la grammatica del racconto non è dissimile a certi balli che si ripetono più o meno uguali in tanta parte del mondo. […] Nel racconto di Re Pipuzzu fattu a manu, ripercorso ed interpretato Dario De Luca […] Persino l’elemento musicale, portato in dote da Gianfranco De Franco, resta sottotraccia del testo, eco di una musicalità generata dal soffio del vento. Se è vero che le fiabe sono spesso il teatro del meraviglioso è altrettanto certo che le più strane epifanie si materializzano a partire da una noce o una castagna. È questo probabilmente il maggior pregio di questo piccolo allestimento […] che rinuncia ad ogni forma di velleitarismo persuasivo, consegnando zucchero e farine alle nostre mani di spettatori. Persino il finale ricalca le formule sbrigative delle fiabe di Di Francia. Si resta letteralmente a mani vacanti, quando a fine narrazione il gioco del dopo, mutuato dalla grammatica della fantasia costruisce un seguito. Un seguito provvisorio costretto a convivere con mille altri probabili impasti».
NaturArte Basilicata – Giusi Giovinazzo – 6 settembre 2021
«Aedo di paesaggi che dal cuore narrativo della Calabria approdano nel Pollino lucano, a Noepoli, in “Re Pipuzzu fattu a mano”: Dario De Luca rilegge e interpreta in un melologo dolce e irriverente il personaggio femminile di una fiaba calabrese. L’attore ci racconta una figura pronta a trasformare la tradizione, il dictat della ricerca obbligata del marito, in un atto creativo fatto di pastafrolla, riscatto e caparbia femminile. La platea segue attenta il Bildungsroman, il percorso di formazione, di Reginotta, in una scena accompagnata dal setting di strumenti elettronici e a fiato armonizzati da Gianfranco De Franco. Una timbrica emotiva che mischia accenti e dialetti popolari con armonizzazioni contemporanee. Tra tarantelle e theremin, memoria e presente, si spalanca la regione aperta dell’arte che nel caso della Compagnia “Scena Verticale” si fonda in un potente pensiero meridiano».
Il Quotidiano del Sud – Lina Latelli – 16 febbraio 2022
«Il riscatto della donna, artefice del proprio destino, unito all’anelito di rilancio della tradizione calabrese, ha dominato la fiaba “Re Pipuzzu fattu a manu”, messa in scena al Teatro Comunale Grandinetti dalla compagnia calabrese Scena Verticale e raccontata nel melologo dall’ attore, regista e drammaturgo Dario De Luca, supportato dall’accompagnamento musicale di Gianfranco De Franco. […] Su un palco semibuio e allestito con grande semplicità, Dario De Luca ha tenuto il numeroso pubblico, composto da adulti e ragazzi, con il fiato sospeso per un’ora intera di spettacolo dando corpo e voce a “Re Pipuzzu fattu a manu” e narrando l’avvincente storia in dialetto calabrese intercalato da passaggi in lingua italiana, insieme a Gianfranco De Franco che, utilizzando strumenti a fiato tradizionali ed elettronica, ha creato suoni ed atmosfere sospese tra magia, miti e illusioni. Lo spettacolo, ispirato ad un racconto popolare tratto da “Re Pepe e il vento magico” del palmese Letterio Di Francia, a dispetto del titolo che cita il re, vanta come protagonista una donna, Reginotta, che viene interpretata da Dario De Luca, quasi sempre seduto, scalzo, in gonna lunga e maglia bianca e in tutta la sua forza combattiva e voglia di autonomia.[…] E lo fa coniugando mirabilmente le parole, il canto di una filastrocca (Re Pipuzzu fattu a manu) e la suggestiva gestualità del corpo e arricchendo la sua narrazione con l’ipotesi di tre possibili finali sull’innocenza o meno di Pipuzzu che il pubblico femminile presente dovrà scegliere ad alzata di mano: la scelta cade sulla terza opzione per la quale Reginotta lascerà Pipuzzu e incomincerà ad impastare a suo piacimento un altro re. Trionfale la chiusura dello spettacolo dominata da applausi ed applausi».
Indygesto.com – Fiorella Tarantino – 23 dicembre 2019
Impeccabile interpretazione di Dario De Luca, abilissimo a modellare la voce a misura dei sentimenti di ogni personaggio. Grazie alla notevole immedesimazione di De Luca, in un attimo siamo accanto alla reginotta mentre dà vita al suo re, poi camminiamo al suo fianco nel viaggio per recuperare il reuccio e lottiamo assieme a lei. Ideale complemento narrativo, il commento sonoro, che riprende a sua volta motivi della tradizione calabrese, anche grazie all’uso efficace degli strumenti a fiato, e li attualizza con effetti elettronici.
Apollinea – Lorena Martufi – luglio/agosto 2021
«Apre la rassegna Kids Dario De Luca, direttore artistico, attore, regista di uno spettacolo originale, che prende spunto dalle favole della Calabria. Un racconto popolare raccolto da Letterio di Francia da fiabe e novelle calabresi, tratto da “Re Pepe e il vento magico”. È la storia della figlia di Re Pipuzzo, “reginotta” d’altri tempi, messa in scena dallo stesso De Luca che ce la riconsegna come da tradizione, in gonna lunga blu e maglia bianca, scalza, come la libertà e la purezza delle favole, come la sapienza degli antichi che parlano dialetto e amano la musica, la danzano, la vivono, la cantano. È una favola in musica, diretta e scritta da Gianfranco de Franco, un archetipo contemporaneo erede di uno stile ormai personalissimo e segreto, che fa suo, firmando lo spettacolo insieme a De Luca, con un linguaggio tanto antico quanto contemporaneo nella musica, come nel racconto che evoca amori, leggende, spiagge deserte, e mondi lontani, non tanto diversi dal nostro, come quelli orientali, delle Mille e una notte, di Grimm e Perrault. È erede di Turandot e altre cento Reginotta, insoddisfatta principessa di tutti i pretendenti che rifiuta: inconcludenti, ass’i coppe, votafaccia, brutti, pirchi, tamarri (gli uomini chisti su ) e decide di farsi un marito da sola, al setaccio che è tamburo, con acqua, sale e farina. De Luca lo impasta con una filastrocca (Re Pipuzzu fattu a manu) che ha il gusto del racconto e della canzone tipici del racconto di una volta, quello che i piccoli spettatori hanno ascoltato più dai loro nonni che da noi genitori. Intelligenza, fedeltà, bontà, simpatia, gelosia, passione, coraggio sono gli ingredienti che servono per farlo giusto questo marito, degno di una principessa, che lo impasta guardando il mare. E finalmente dopo sei mesi, re Pipuzzu è pronto. Ma in una giornata di sole, durante una passeggiata, vola via rapito da un vento magico. Reginotta, disperata, si chiude nelle sue stanze (mo’ non ne vugghju sapi cchiu nente), finché non decide di andare a cercarlo nel bosco. Magistrale la lettura e interpretazione di De Luca di ogni personaggio della fiaba che incontrerà da questo momento in poi Reginotta: la Draghessa, la sua serva, i carcerati, gli anziani del villaggio. Ogni anima emerge dalla sua, attore ormai sapiente e regista esperto di bravura che più non si commenta. Capace di farci sognare a occhi aperti, tenendoci fino all’ultimo sospesi sul finale, meravigliosamente a scelta, per alzata di mano. Re Pipuzzu è stato rapito dalla draghessa sì, ma sarà stata davvero una prigionia? Avrà sofferto la distanza dal suo amore lontano che lo ha creato con tanta fantasia e poesia, oppure avrà ceduto alle lusinghe della sua carceriera? E soprattutto Reginotta cosa farà di lui dopo averlo rapito alla Draghessa? Lo perdonerà o se ne farà un altro? Il pubblico vota con destra e sinistra alzate, se ne facisse n’ato, se non è innocente. Solo una bambina non gli risparmia la terribile punizione del secondo finale; iettato fora mezzo a na via. Possiamo sperare: neanche le bambine credono più alle favole, se assomigliano alla vita. Il teatro serve a ricamare l’anima, da sempre, e tutto ciò che essa contiene, dando voce alle ferite, ai vissuti, alle delusioni, dando spazio a quelle storie che sono come medicine, specialmente se siamo diventati specie a rischio».